Mario Draghi ha parlato ai più giovani rivolgendo loro delle parole di speranza ma soprattutto di possibilità: “Con tutti loro, con tutti voi, voglio prendere un impegno. Dopo anni in cui l’Italia si è spesso dimenticata delle sue ragazze e dei suoi ragazzi, sappiate che le vostre aspirazioni, le vostre attese, oggi sono al centro dell’azione del Governo”.
Belle parole, ma la situazione è molto grave, basta guardare gli ultimi risultati sui giovani inattivi, analizzandone le cause e immaginando il futuro possibile, in un’Italia sempre più anziana, con un’età mediana di 45,6 anni nel 2020 e destinata a raggiungere i 50 anni entro il 2060, c’è un grande potenziale per la sostenibilità del Paese: 5,3 milioni di giovani fra 15 e 29 anni inattivi, di cui il 42% residente al Sud, pari al 13,8% della popolazione in età lavorativa (15- 64 anni). È l’arcipelago, piuttosto variegato, che comprende giovani inattivi per un giustificato motivo perché studenti (4,2 milioni, statisticamente inattivi perché inoccupati o non alla ricerca di un lavoro) e invalidi (158mila), il record europeo di neet, persone che non studiano e non lavorano (1,1 milioni inattivi in senso stretto, a cui si aggiungono circa 800mila disoccupati), e troppi occupati con contratti precari o che lavorano poche ore alla settimana.
Un problema storico che nasce durante gli anni delle scuole: il 13,1% dei ragazzi fra 18 e 24 anni ha interrotto prematuramente gli studi e soltanto il 37% degli studenti si iscrive a percorsi di istruzione-formazione post-secondari. E prosegue quando dopo la scuola ci si affaccia al mondo del lavoro: il 22,2% dei giovani sono neet scoraggiati che non lavorano e non cercano impiego, contro il 12,5% della media europea, addirittura il 52,8% fra i 16- 24enni.