Nuovo appuntamento con l’intervista di Meril Pi. Oggi abbiamo il piacere di porgere qualche domanda al Dott. Carmine Di Rosa, dirigente medico psichiatra e psicoterapeuta, che ci aiuterà a comprendere lo scenario che stiamo affrontando con notevole difficoltà e disagio.
-Dottor Di Rosa, in questo periodo a causa della pandemia da COVID-19, abbiamo sentito parlare dei risvolti psichici e sociali. Ci può illustrare l’attuale scenario?
Da molti mesi lo scenario globale è dominato da un’emergenza sanitaria, economica e sociale senza precedenti, conseguita alla diffusione, ormai a livello pandemico, del virus SARS-CoV-2 (Severe Acute Respiratory Syndrome COronaVirus 2) e della malattia (COVID-19, COrona Virus Disease 19) di cui è agente eziologico. L’epidemia ha importanti conseguenze anche sul piano psichico, in termini di stress post-traumatico, confusione, rabbia, paura, dolore e insonnia indotta dall’ansia. Secondo il modello “diatesi-stress”, i comportamenti disfunzionali agiti, sono la risultante dell’interazione tra una disposizione soggettiva ed alcuni stress. Questi ultimi includono una maggiore durata della quarantena, paure d’infezione, frustrazione, noia, forniture inadeguate, perdite economiche e stigma, nonché l’informazione inadeguata.
-Ci faccia comprendere quale ruolo gioca la paura in questo periodo?
La paura è un’emozione primordiale reattiva di fronte ad un pericolo esterno, definito, chiaramente riconosciuto dal soggetto. È un comportamento adattativo che ci aiuta a difenderci ed a proteggerci. Facendo ricorso alle teorie classiche sul comportamento, da una prospettiva basata sul condizionamento classico, in questo periodo pandemico, i luoghi pubblici, generalmente neutri, vengono associati al rischio di contaminazione del Covid-19 con l’esito una risposta emotiva condizionata. Nell’ottica del concetto del condizionamento operante, l’evitamento protettivo dei luoghi sociali ha come effetto una conseguenza positiva e la persona tende perciò a ripetere il comportamento. Sorge la preoccupazione per il futuro e l’inevitabile esigenza di stare lontani dai luoghi pubblici a causa del rischio di contaminazione. Ciò potrebbe diventare via via un apprendimento strumentale, un’abitudine che non necessita neanche più di uno stimolo per essere operata una volta generalizzata (LeDoux, 2014).The Lancet Psychiatry ha pubblicato, lo scorso 21 luglio, uno studio (Pierce M. et al,2020) che sarebbe in grado di “tracciare i cambiamenti nella salute mentale della popolazione del Regno Unito da prima della pandemia Covid-19 fino al successivo periodo di lockdown”. Lo studio, effettuato tramite un sondaggio su 17.452 persone, ha rilevato che più di un quarto delle persone ha riportato livelli di disagio mentale clinicamente rilevanti alla fine di aprile 2020, rispetto a una persona su cinque prima dell’isolamento (27,3% e 18,9% rispettivamente). Da un punto di vista sociale ed antropologico, la pandemia ha esacerbato le differenze negli stili di vita delle persone. In particolare le differenze già esistenti nella salute mentale delle donne e dei giovani si sono ampliate e allo stesso tempo sono emerse nuove disuguaglianze soprattutto per coloro che vivono con bambini in età prescolare. Esiste anche una differenza di genere. Se nelle donne dominano i sintomi ansioso-depressivi, nei maschi l’abuso di alcol e sostanze in primis e l’ideazione paranoica in seconda battuta rappresenterebbero le modalità di emergenza sintomatica.
Secondo Kathryn Abel, dell’Università di Manchester, se l’infezione da COVID-19 rappresenta un rischio maggiore per la salute fisica delle persone anziane, la salute mentale dei giovani è stata colpita in modo sproporzionato dagli sforzi per fermare la pandemia.
-Dottore quali sono i disagi per coloro che hanno perso il lavoro durante questo periodo?
Un aumento del disagio mentale è emerso in coloro che avevano un lavoro prima della pandemia, perché magari licenziati a seguito dell’emergenza sanitaria, oppure preoccupati di rimanere senza lavoro o semplicemente per le mutate modalità lavorative. L’insorgenza della pandemia da SARS-CoV-2 ha drasticamente alterato la vita delle persone, sia da un punto di vista sociale sia da quello economico. Il decremento delle attività produttive, secondarie alle misure di isolamento imposte dai governi per limitare la diffusione del virus ha causato una sensibile riduzione sia dell’offerta che della domanda economica (Nicola et al., 2020). È prevedibile che lockdowns di massa e recessione economica possano portare ad un incremento nel numero dei suicidi e dei disturbi mentali. Un interessante lavoro di McIntyre e Lee, ha previsto un aumento del numero di suicidi in Canada, legati alla perdita del lavoro, da 418 a 2114 Benché in tutti i Paesi le conoscenze sull’impatto della pandemia sulla salute mentale siano ancora limitate e perlopiù derivate da esperienze solo parzialmente assimilabili all’attuale epidemia, come quelle che si riferiscono alle epidemie di SARS o Ebola, è verosimile che la domanda di interventi psicosociali aumenterà notevolmente nei prossimi mesi e anni. L’investimento nei servizi e in programmi di salute mentale a livello nazionale, che hanno sofferto per anni di limitati finanziamenti, è quindi ora più importante che mai. Gli ultimi mesi hanno comportato molte sfide, in particolare per gli operatori sanitari, gli studenti, i familiari dei pazienti affetti da COVID-19, le persone affette da disturbi mentali e più in generale le persone che versano in condizioni socio-economiche svantaggiate, e i lavoratori i cui mezzi di sussistenza sono stati minacciati. L’impatto economico sostanziale della pandemia può infatti ostacolare oltre che i progressi verso la crescita economica anche quelli verso l’inclusione sociale e il benessere mentale.
(in foto il Dr. Carmine Di Rosa)